Nuove architetture contemporanee attorno alle piste in Alto Adige


 

Non sono un architetto, ma ho un architetto in famiglia. E da appassionato di cultura della montagna in tutte le sue espressioni ho maturato una predilezione naturale per le buone architetture sparse fra pendii e vallate. Antiche e contemporanee. Non solo.  Frequentando da sempre l’Alto Adige, da almeno vent’anni mi imbatto in edifici rilevanti – dalle stazioni di impianti alle cantine vinicole, dagli alberghi di lusso ai masi sperduti – che colpiscono per l’ardire delle linee, capaci di giocare con l’ambiente naturale e con l’eredità storica. Cosicchè, anche l’andar per architetture, in diventa per me una ragione di viaggio, fra una sciata e l’altra.

Una scusa ulteriore al riguardo me la dà la recente uscita di un bellissimo volume edito da Merano Arte (Kunst Meran), Fondazione Architettura Alto Adige e Südtiroler Künstlerbund, pubblicato da Park Books di ZurigoArchitetture recenti in Alto Adige 2018 – 2024, che segue una serie periodica avviata nel 2000 in uscita ogni 6 anni. Una sorta di focus critico, a cui corrisponde anche una mostra itinerante, che testimonia anno dopo anno come l’Alto Adige sia il vero e unico centro di sperimentazione architettonica in Italia, tanto che si è guadagnato una fama assolutamente mondiale.

Il volume 2018-2024 raccoglie foto, testi critici, disegni dei più interessanti progetti selezionati da una giuria composta da Filippo Bricolo (Italia), curatore, Annette Spiro (Svizzera) e Elisa Valero (Spagna). Con l’obiettivo di raccontare il “groviglio architettonico altoatesino – come scrive Filippo Bricolo – che mescola pragmatismo, approccio poetico, razionalismo e un certo romanticismo”. E aggiungo io, da non tecnico, coraggio di osare e altissima qualità sia del progetto che del costruire e realizzare, unitamente a una straordinaria cultura del recupero.

E allora, si scoprono antichi edifici, come Maria Trost – Stift Stams a Merano, a cura di Markus Scherer, o la casa Fiegele-Prieth a Glorenza, il fienile recuperato Maireggerhof a San Giovanni in Valle Aurina. Si passa poi per i contesti urbani delle città, ad esempio con le forme del Tree Hugger di MoDusArchitects,nuova sede dell’Associazione turistica di Bressanone. Forme spanciate e tagli curvilinee di un edificio in cemento, ardito e onirico che sembra abbracciare l'alberone accanto…

Il dialogo si fa più serrato con la natura in un’altra sezione del libro, incentrata su masi, rifugi (per esempio il Passo Santner), cantine vinicole, come la nuova Pacherhof, e perfino una stazione di kitesurf nel Lago Resia.

Largo spazio poi alle architetture civili inserite nel paesaggio, con sottocapitoli divisi per vallate. E qui ci si può sbizzarrire: sotto il Plan de Corones, spicca lo Stadio del Ghiaccio Intercable Arena di Brunico (di CeZ Studio), che sembra un’astronave planata sui prati ben integrata nella topografia. In quota, sopra Bolzano, c’è l’hotel Saltus (Helke Pohl, Andreas Zanier) sull’altopiano di San Genesio, sfalsato sul pendio con le facciate in legno locale di larice. E per rimanere sulle piste da sci, come non notare l’impressionante Icaro hotel sull’Alpe di Siusi a cura di Sandy Atti e Matteo Scagnol.

L’Alto Adige si è peraltro sempre caratterizzato, specie negli anni 90 –  ma perfino adesso –  per un’architettura turistica vernacolare non priva di clichè e banalizzazioni alpine, nel particolare uso del legno e del tetto a falde, come ben sappiamo noi che frequentiamo le stazioni sciistiche. A volte con esempi felici a volte meno. Allora, la grande sfida attuale è come richiamare la tradizione, come reinterpretare la memoria, magari nel caso di nuove costruzioni che devono rimpiazzare edifici storici.  Si muovono molto bene in tal senso i Pedevilla Architects, ad esempio nella trapezoidale CiAsa Aqua Bad Cortina di San Vigilio di Marebbe, materiali locali quali roccia dolomitica, cirmolo e abete rosso recuperati dopo la tempesta di Vaia, senza uso di colle. Ma gli esempi si ritrovano pure in edifici residenziali, fienili, musei, cantine. Che fanno capolino qua e là, splendidamente inseriti nel contesto irripetibile di una regione dove “il paesaggio si coniuga con la verticalità delle montagne e la profondità delle valli, forgiando un’architettura che si muove fra necessità, precisione, accoglienza. Dove la cura del dettaglio e la funzionalità si trasformano in garbo e bellezza proiettata sul paesaggio”, per dirla con le parole di Elisa Valero, una delle curatrici dell’opera.

Fabio Bottonelli