Il futuro delle piccole stazioni: morire o investire? Una riflessione dopo l'analisi di Panorama Turismo di Skipass sull'andamento 2015-16


Ora è un dato certo: le positive previsioni sulla stagione invernale 2015/2016 non si sono avverate a causa di un inizio disastroso, solo in parte rimediato a fine stagione. E così siamo a un decremento di presenze pari al -5,1% e a una diminuzione del fatturato del -5,7% rispetto ai dati dello scorso anno, ma a un ben più allarmante -21,1% se consideriamo il parametro del risultato aziendale (EBITDA); e perfino nei pochi casi di stazioni con presenze in crescita i margini non ci sono più. Lo ha detto Skipass Panorama Turismo, l’osservatorio del turismo montano promosso da ModenaFiere e realizzato dalla società di marketing turistico Jfc che monitora ben 61 stazioni.

Le condizioni meteo hanno infatti condizionato l’andamento di dicembre 2015 e gennaio 2016, mesi nei quali si concentra il 49,3% delle presenze italiane in montagna e il 33,6% delle presenze straniere. Nell’inverno 2015/2016 il comparto ha perso una quota economica di rilievo, pari a 576 milioni di euro, riportando il fatturato al di sotto dei 10 miliardi, e più esattamente a 9 miliardi 527 milioni di euro. Il recupero completo delle presenze e del fatturato grazie al fine stagione è stato possibile per non più del 60% delle destinazioni. Nonostante ciò ci sono le mosche bianche  che tengono e anzi crescono. Per esempio, perfino la bistrattata Cortina, fresca di assegnazione Mondiali 2021, ha avuto il 21% di ‘primi ingressi’ in più sulle piste e ben 1 milione di presenze. “Il primo risultato che emerge è quello di un settore che – nonostante una stagione tra le più difficili dal punto di vista dell’innevamento – continua a generare appeal: quando le cime si imbiancano e l’ambiente assume il fascino tipico della montagna invernale, la tendenza dei si inverte e si proietta in un fine stagione esaltante”, dice Massimo Feruzzi, amministratore delegato di Jfc, lasciando intravvedere qualche barlume di ottimismo in un orizzonte fosco.

Perché la crisi c'è: già nel disinteresse generale sono state decine e decine le stazioni sciistiche divenute ‘fantasma’ negli ultimi anni, anche se magari tali stazioni – non facciamo nomi - continuano ad apparire su vecchie guide e data base. Ma anche nei comprensori consolidati, fateci caso, chiusure e dismissioni si fanno strada in maniera subdola, anche perché conviene dichiarare km di piste doppi del vero e conviene non correggere le mappe… (sono note al riguardo le lamentele della clientela in zone come Vialattea o Appennino dove nei giorni feriali non tutti gli impianti vengono aperti...ci torneremo anche su questo tema).

E allora, stante questa crisi, che si evidenzia a volte strisciante, a volte in modo eclatante e traumatico, mi sono spesso interrogato sul futuro delle piccole stazioni sciistiche: chiudere o riciclarsi? Fondersi con le grosse, mediante nuovi collegamenti (spesso fantasiosi…) oppure dedicarsi alle nicchie, come il freeride? Nessuna località ha per ora avuto questo coraggio: lasciare le piste selvagge e abbandonate... Puntare su poche piste buone solo per gli agonisti e gli impallinati, oppure coltivare il target delle famiglie con bimbi? La salvezza è forse crescere e crescere e investire? O magari porsi all’attenzione come stazione sostenibile ‘impianti-free’, cioè lasciare solo itinerari per escursioni a piedi o sci da alpinismo? Questo lo fece con gran successo Villach con la sua montagna Dobratsch, che ora è una sorta di parco giochi per attività alternative, ma in Austria culturalmente siamo avanti… Anni fa ritenni intelligente il tentativo di Tonezza del Cimone, nel vicentino, che pubblicizzò il suo impianto solo per allenamenti e gare. Ma dopo poco non si seppe più nulla di questa esperienza. Fortunatamente in quella località arrivò poi il collegamento della zona Fiorentini Tonezza con Folgaria a salvare provvisoriamente la baracca. Ma di tali esempi ne ricordo pochi altri, e per forza, vista la crisi di vocazioni dello sci agonistico. La pista da gara peraltro ha senso quando è sì defilata e isolata, ma nell’ambito di un grande comprensorio e magari con illuminazione notturna: esempio di successo è l’Aloch di Pozza di Fassa.  Non ho mai creduto troppo nemmeno nel riciclo delle stazioni sciistiche verso le attività outdoor alternative. Anche queste, per aver successo, devono essere trainate da comprensori in salute, tant’è che le passeggiate e le slittate vengono più praticate proprio laddove l’andamento economico è ancora positivo come in Alto Adige…

Che fare dunque? Non ho mai individuato una risposta sensata a questo dubbio. Pur da cosiddetto esperto, ricette non ne ho. Ma l’argomento sta diventando attuale, molto attuale. E lo vivremo, il problema, molto presto. Ci saranno notevoli sommovimenti nei prossimi anni nella rete impiantistica italiana… Sono contrario a interventi pubblici, anche se in effetti le province autonome godono di un vantaggio competitivo. Credo allora che bisognerà farsene una ragione e accettare un’evoluzione, anzi, una selezione drastica, e lasciare che le cose abbiano il loro corso naturale. A meno di colpi di scena, tipo un nuovo Tomba, o 10 anni consecutivi di tanta neve e freddo, lo sci sarà sempre un po’ in calo, forse terrà anche in termini assoluti, ma il panorama delle località dove si potrà sciare cambierà: il 90% delle piccole non collegate, specie se sotto i 1500 metri è destinato a morire (si salveranno solo alcune dell’Alto Adige, dove lo sci, come in Svizzera e in Austria, ha un ruolo sociale riconosciuto), e lo sci si concentrerà su pochi grandi comprensori, ben collegati o di gran nome, oppure in medi comprensori ma con organizzazione perfetta, come ad esempio Paganella Ski che avuto +8,11% di sciatori nelle 124 giornate di apertura. In un certo senso è già così.

Nella foto di Matteo Bottonelli: la situazione assolutamente invernale il 28 aprile scorso a Cortina in Faloria....



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